A seguire la Cronaca di Bartolomeo Taverna, intorno alla metà del ‘300 il De Soris, da Abate e vicario generale della diocesi, trasferisce, per prestigio e per necessità pandemica la sede abaziale da Licodia ‘Vetus’, alla ‘nova’, «distante mille passi a nord […] in cui egli aveva posto la sua residenza (a Licodia Nova) poiché nel predetto territorio il nostro monastero […], si trova in un luogo ricco d’acqua pianeggiante afoso e malsano […] la natura del clima spinge a traslocare il monastero in un altro […] più sicuro dove i monaci possono vivere sicuri e scongiurare l’insalubrità dell’area e il pericolo di epidemie. […] Con l’autorità ed il potere giurisdizionale a noi attribuito diamo […] l’autorizzazione e il permesso di rinnovare e di trasferire, edificare, costruire ed erigere con lo stesso nome […] a memoria futura dell’evento e per conservazione del diritto del monastero […] munita del nostro sigillo pendente» (trad. Tito Furnari).
Agli albori dell’età moderna, le avvisaglie della crisi della Società Cristiana, le politiche di potenza degli Stati e le contraddizioni dei vertici della chiesa si riverberano anche nel regno di Sicilia in regime di Apostolica Legazia avviato nel sistema composito della monarquia spagnola.
Emblematici per gli Abati dei monasteri riuniti sono gli anni 1413/14 in cui vengono chiamati a prestare ubbidienza e fedeltà contestualmente a tre pontefici: Giovanni XXIII, Gregorio XII e Benedetto XIII, ognuno per proprio conto legittimo.
Ma anche a registrare l’atto politico di Bianca di Navarra che da Vicaria, ma ancora Regina, concede il 23 luglio 1414 «in dicto monasterio Sancte Marie de Lichodia» le Consuetudini, visto che il potente abate tra l’altro è membro del «Brachio» ecclesiastico del parlamento siciliano.