Il Rivelo del 1505 assegna a Licodia 325 fuochi , pari a c.a.1580 abitanti.
Ma il trasferimento definitivo a Catania dell’abate con la sua corte e curia provoca l’implosione demografica del borgo, che non rimase deserto così come la comunità monastica seppur ridimensionata. Le Cronache concorde ci dicono che «l’infortuni […] gli eventi naturali come il fuoco (dell’Etna), guerre, mutazioni, di regnanti a quali né passati secoli fu soggetto il regno di Sicilia, […] fra le molte abitazioni che perirono ci fu quella di Licodia […] restando una sola strada continua e contigua le mura della clausura, detta “ baglia”, col numero di 150 persone in carica […] ove hanno sempre abitato e attualmente abitano li familiari del monastero […] prezzolati, bagli, guardiani delli feudi, bordonari, guardiani d’armenti ed anche persone che tutte hanno l’impiego del servizio del monastero […] altri abitano disposti nelle terre e feudi che girano miglia ventinove».
Le ragioni del trasferimento da parte degli “Officiali” monastici, non escludono quella dettata dalla ‘opportunità di’ purificazione dalle riflessioni erasmiane-riformiste maturate nei claustri etnei, ormai in odore di eresia dopo la svolta tridentina.
Poi è un susseguirsi nel territorio di instabilità, con lo ‘stato’ feudale dei Moncada ad insidiare la giurisdizione sull’asse simetino-etneo della Signoria monastica, ma anche del formarsi di nuovi assetti gerarchici.
Così le sollecitudini apostoliche, con brevi e censure paventate a protezione dei monasteri riuniti così che «non siano molestati nelle loro possessioni», ma anche a pagare i diritti alla «Camera Apostolica» per i servizi dovuti dall’abate o la quota per l’armata di Lepanto.
Nel 1602, un evento ‘ecumenico’ che rimanda a Licodia quale santuario mariano, “forziere” reliquiario benedettino: la donazione delle reliquie di san Placido alla giovane comunità levantina di Biancavilla.
Poi a metà secolo l’intervento dell’abate Mauro Caprara teso a curare la prima veste barocca di S. Nicolò, restaurare il monastero di Licodia, mantenere il «pacifico possesso di giurisdizione sopra i feudi e casale di Licodia», e la quotidiana salmodia del claustro secondo gli intenti riformatori di Innocenzo X.
Gli eventi tellurici del 1693, in quest’area hanno effetti meno devastanti. Se anche Matteo Gaudioso scrive che da Licodia partirono i primi soccorsi alla città, a «… quella sua creatura superba che staccatasi […] fu data pietosa sepoltura […], salvate le sacre reliquie, i preziosi codici, […] la tradizione».
Con il ‘700 si avvia una lenta ripresa abitativa, di Licodia favorita dai nuovi flussi immigratori interni e dalla costituzione all’uopo della “Confraternita del Sacramento e delle Anime Purganti” formata da Licodiesi, Biancavillesi e PP. Benedettini.
Così nel 1743 si avvia la prima censuazione di parte dei feudi e delle tenute benedettine a favore dei licodiesi.